EBA – EVIDENCE BASED ART, PARTE III: LA DUE DILIGENCE E L’ACQUISTO DI OPERA D’ARTE FALSA

La Due Diligence artistica deve essere affidata a professionisti competenti e indipenti, affinché sia garantito un risultato il più affidabile possibile. Accertamenti superficiali o incompleti non conferiscono certezza circa l’autenticità e la legittima provenienza dell’opera d’arte e le conseguenze, anche a distanza di anni, possono rivelarsi molto onerose.

A-Connoisseurship

Si tratta dell’esame visivo dell’opera d’arte da parte di un esperto senza l’utilizzo di strumenti o tecnologie, ma analizzandone le caratteristiche particolari e peculiari. È una modalità di accertamento dell’opera che risale al 1600 e ha avuto celebri esponenti, ciascuno con il proprio metodo: tra i più famosi possiamo ricordare Giovanni Morelli (1816-1891), secondo cui la mano di un artista poteva individuarsi dall’esame di alcuni particolari anatomici, come i lobi delle orecchie, le palpebre dei personaggi dipinti, la lunghezza delle falangi o la conformazione delle dita, che il pittore riproduceva di getto in modo quasi meccanico.

 

Fermo quanto si è detto in precedenza rispetto alla figura dell’esperto, il Connoisseur deve avere un’adeguata formazione accademica in storia dell’arte, o discipline come belle arti, archeologia o altre correlate.

Approfondita dovrà essere l’esperienza pratica e la conoscenza dei vari materiali artistici e delle tecniche utilizzate, nonché del mercato dell’arte e delle sue istituzioni, come le case d’asta e le gallerie d’arte; inoltre, essenziale sarà l’abilità di ricerca e analisi per trarre conclusioni accurate e sostenute da dati oggettivi sugli aspetti dell’opera esaminati.

La connoisseurship è assimilabile all’esame clinico, ma pur essendo imprescindibile e per quanto precisa e dettagliata, da sola non può essere ritenuta sufficiente per la corretta attribuzione della paternità di un’opera d’arte.

Peraltro, trattandosi di una valutazione di natura strettamente personale, sarebbe opportuna la condivisione dei risultati dell’esame e delle modalità operative, nonché delle ragioni in base alle quali il connoisseur è giunto a una determinata conclusione, cosicché essa possa essere oggetto di confronto e scambio con altri esperti per giungere a una soluzione condivisa oppure lasciando in evidenza i contrasti e le diversità di opinione.

La specifica della metodologia seguita e la possibilità di pervenire a un giudizio il più oggettivo possibile saranno rilevanti qualora il tema dell’accertamento dell’autenticità attraversasse le aule giudiziarie, poiché la modalità operativa potrebbe essere presa in considerazione da parte del Giudice per individuare il consulente tecnico più competente in relazione al caso sottoposto al suo giudizio.

 

B-La provenienza

È il secondo pilastro della Due Diligence riveste un’importanza essenziale e non è riferito soltanto alla legittima titolarità del bene in capo al dante causa: per disporre di un ulteriore tassello a riprova dell’autenticità dell’opera si dovrebbe risalire all’indietro, individuando tutti i passaggi di proprietà sino alla prima vendita.

Tendenzialmente l’arte contemporanea dovrebbe rendere questa verifica più agile, atteso che spesso le vendite possono essere quelle immediatamente successive all’acquisto nel mercato primario, ovvero direttamente dall’artista creatore.

Anche in questo caso si dovrà procedere in modo scientifico e documentato, prestando particolare attenzione ai documenti che accompagnano l’opera, alle pubblicazioni in cataloghi ragionati e/o di mostre.

Inoltre, sarebbe opportuno verificare i vari passaggi con gli esiti delle verifiche documentali, come corrispondenza o fotografie, senza dimenticare un attendo esame delle etichette presenti sull’opera.

In mancanza di questi elementi, dovranno essere approfondite le ricerche nei siti dedicati all’arte rubata o razziata: al riguardo, complessa può rivelarsi la ricerca di opere realizzate prima della Seconda guerra mondiale.

Il tema dell’arte razziata è molto spinoso, importando con sé questioni etiche, di giustizia e morali: sono Storia le razzie e le sottrazioni perpetrate dai nazisti in tutta Europa, in danno di istituzioni e musei pubblici, così come di privati, in special modo di razza ebraica.

Il danno arrecato è stato incommensurabile.

Meritano un ricordo le figure storiche che si sono strenuamente opposte alle razzie belliche come i Monuments Men, oltre trecento tra uomini e donne di diversa nazionalità, che rischiarono la vita per proteggere i grandi tesori dell’arte e come non citare lo straordinario Rodolfo Siviero, il quale con la sua organizzazione sottotraccia riuscì a sventare numerosi “prelievi” dai musei e dalle collezioni italiane, recuperando con un tocco da finissimo giurista anche tutte quelle opere che il regime cedette illegalmente ai Reich[1]

Ebbene, nonostante il tempo passato e le Convenzioni internazionali (ricordiamo che quest’anno ricorre il venticinquennale dall’approvazione dei principi di Washington[2]) in forza delle quali i paesi firmatari assunsero l’impegno alla restituzione dei beni criminalmente sottratti dai nazisti, vi sono ancora forti resistenze.

Trattandosi di principi di natura non precettiva, sovente si scontrano con le normative nazionali di diritto privato, in particolare nei paesi di civil law, i cui impianti normativi si basano sul citato “possesso vale titolo” con presunzione della buona fede, mentre trovano maggiore accoglimento negli ordinamenti di common law, che consentono sempre al proprietario originale di recuperare il proprio bene in virtù della massima del diritto romano ereditario “nemo dat quod non habet”.

Del mezzo milione di opere razziate soltanto una minima parte è tornata ai legittimi proprietari: la ragione di questa lentezza – o forse ritrosia – è verosimilmente dovuta a molteplici fattori, tra cui la poca trasparenza degli scambi, l’esiguità delle informazioni, ma soprattutto una scarsa e superficiale indagine sulla provenienza, come è accaduto per il capolavoro di Camille Pissarro “Rue Saint-Honoré, dans l’après midi. Effet de pluie[3], estorto alla legittima proprietaria, Lilly Cassirer Neubauer, erede della famiglia ebrea Cassier, in cambio di un paio di visti per l’espatrio e una manciata di Reichsmark accreditati su un conto corrente bloccato.

Dopo la guerra Lilli Cassier cercò invano il suo capolavoro, ma fu soltanto il nipote Claude Cassier, nel 2005, a scoprire che il dipinto era – ed è tutt’ora – esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

A seguito del rifiuto da parte del museo spagnolo di restituire l’opera, si è aperto un contezioso giudiziario pendente da oltre vent’anni tra eccezioni di difetto di giurisdizione, norme applicabili e norme di natura sostanziale.

Ma in gioco vi è molto di più: si tratta dei principi etici e morali che impongono la restituzione delle opere rubate dai nazisti ai legittimi proprietari, nonché all’osservanza delle regole di buona fede, correttezza e trasparenza dettate per il buon funzionamento del mercato, le quali mai possono prescindere dall’esecuzione di un adeguato e puntuale accertamento sulla provenienza e autenticità delle opere d’arte.

Nel caso dell’acquisto del capolavoro appartenuto alla famiglia Cassier, i soggetti che ne vennero in possesso avrebbero dovuto effettuare accertamenti ben più approfonditi circa la provenienza del dipinto, poiché vi erano diverse “Red flags”, ovvero indizi ed elementi, in ragione dei quali sarebbe stato opportuno effettuare maggiori verifiche.

In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette, parzialmente rimosse dal retro del quadro, dalle quali ancora si poteva evincere che l’opera proveniva da Berlino e si sarebbe anche potuti risalire alla Galleria di Bruno e Paul Cassier, proprietari del dipinto prima della guerra.

Pare che la Hahn Gallery al momento della vendita avesse omesso di approfondire questi aspetti sulla provenienza, ai quali neppure il Barone Thyssen-Bornemisza prestò attenzione, nonostante fisse un collezionista esperto.

Inoltre, si doveva considerare come fossero ben noti e provati i numerosi saccheggi perpetrati dai nazisti a danno sia degli Stati occupati sia dei privati.

In questo come in molti altri casi, vi erano indizi ed evidenze tali da rendere agilmente ricostruibile il percorso della provenienza, compresa l’illegittima sottrazione ai legittimi proprietari da parte dei nazisti.

C- Test scientifici e il Condition Report

L’ultimo step che completa la Due Diligence è rappresentato dalla necessità di sottoporre l’opera a test scientifici che possano suffragare le evidenze della connoisseurship e della provenienza: come nelle altre due fasi è fondamentale che gli scienziati siano indipendenti e qualificati, esperti in conservazione e restauro, con competenze di chimica.

Affinché il metodo possa dirsi effettivamente scientifico, dovranno essere riportati i dati e le modalità degli accertamenti affinché siano ripetibili e confutabili: si dovrà, quindi, procedere almeno a una radiografia dell’opera, a un esame ai raggi UV, agli infrarossi e se del caso all’analisi della fluorescenza e della chimica dei composti e dei colori.

È evidente che il riscontro di un elemento chimico non presente nell’epoca in cui è vissuto il presunto autore dell’opera esclude già di per sé l’autenticità della stessa: il celebre abilissimo falsario Wolfgang Beltracchi fu scopoerto dopo che un test di laboratorio rivelò che sul dipinto attribuito a Campendonck “Quadro rosso con cavalli“, teoricamente risalente al 1944 erano presenti tracce di pigmento al bianco di titanio, sostanza che pare non fosse in commercio a quell’epoca.

Altrettanto importante è il Condition Report che descrive nel dettaglio il materiale, condizioni dell’opera, la presenza di restauri, eventuali materiali biodegradabili, oltre alle modalità con conservazione, imballo e spedizione.

Il Ministero dei Beni Culturali e le Soprintendenze dettano precise linee guida e modelli per la redazione di Condition Report necessari nei casi di spostamento per esposizioni in Italia o all’estero di opere d’arte. Molto spesso questi atti includono le informazioni necessarie alla Compagnia che assicura le opere.

L’acquisto di un’opera d’arte falsa

Le conseguenze di una Due Diligence non accurata possono portare all’acquisto di un’opera d’arte non autentica: i rimedi posti a tutela del compratore sono disciplinati dal concorso di molteplici fonti normative slegate tra loro che spaziano dalle disposizioni del Codice civile sulla vendita, alle norme poste a tutela del consumatore, financo ai precetti del T. U. Beni Culturali.

Data la vastità del tema, limiteremo l’esame alla fattispecie della compravendita disciplinata dagli artt. 1470 e ss. C.c., innanzitutto per individuare quale sia il rimedio riconosciuto all’acquirente di un’opera d’arte rivelatasi falsa.

È bene sgomberare il campo da qualsiasi qualificazione della falsità come vizio del bene e, quindi, dall’ipotesi di sussumere la questione all’interno delle norme che regolano la garanzia dei vizi nella vendita, con i relativi strettissimi termini di decadenza – di otto giorni dalla scoperta – per la denuncia dei difetti occulti e di appena un anno dalla consegna per la prescrizione dell’azione.

L’alienazione di un’opera d’arte falsa integra l’ipotesi di vendita di aliud pro alio (consegna di una cosa per un’altra): dal lontano leading case della materia deciso con la sentenza della Corte di Cassazione del 14/10/1960 n. 2737[4], dove  fu statuito che l’inadempimento del venditore si configura come aliud pro alio tutte le volte in cui la cosa si riveli priva dei requisiti dotati di natura sostanziale, che servono a individuare il bene stesso, sicché l’eventuale mancanza degli stessi importa che “il bene sia diverso, sostanzialmente e non solo qualitativamente, dalla cosa considerata e dichiarata nel contratto che il compratore voleva acquistare[5]. Per l’effetto, il termine di prescrizione in capo al compratore per agire giudizialmente al fine di ottenere la risoluzione del contratto per grave inadempimento rimane quello ordinario di dieci anni.

Si affacciano, tuttavia, corollari elaborati negli anni dalla giurisprudenza di legittimità[6], riferibili agli oneri probatori, agli aspetti della colpevolezza del venditore, alla misura del risarcimento del danno e da ultimo – ma di importanza fondamentale considerata la particolarità della materia – la decorrenza del termine di prescrizione della domanda ex art. 1453 C.c.

Il venditore ritenuto inadempiente per aver venduto un’opera falsa è tenuto a dimostrare di aver consegnato un’opera autentica, ovvero di aver esattamente eseguito la prestazione dovuta.

L’onere dell’obbligato di provare l’esatto adempimento è stato sancito dalle SS. UU. della Cassazione nella nota sentenza n. 13331/2001, divenuta cardine della responsabilità contrattuale, che ha alleggerito moltissimo la posizione del creditore della prestazione, il quale è tenuto soltanto ad allegare il rapporto contrattuale e l’inadempimento, rimanendo in capo all’obbligato la presunzione di colpa per non aver esattamente adempiuto.

Un’attenuazione di questo orientamento così rigoroso è stata introdotta nel 2019, con una nuova pronuncia delle SS. UU della Corte di Cassazione[7], dove è stato distinto il caso dell’inadempimento totale, che rimane regolato dai principi della sentenza 13331/2001, dall’inesatto adempimento ravvisabile quando la prestazione sia stata eseguita ma non sia esatta: in questi casi, per ragioni di vicinanza della prova spetterà al creditore della prestazione (il compratore) dimostrare il vizio e, quindi, l’inesattezza dell’adempimento.

La giurisprudenza, tuttavia, esclude l’estensione dell’attenuazione dell’onere probatorio per l’obbligato introdotta nel 2019 nei casi di vendita di aliud pro alio, pertanto, spetterà sempre al venditore provare di aver ceduto un’opera autentica.

È evidente che vincere la suddetta presunzione può rivelarsi estremamente complesso, per non dire diabolico, se pensiamo che possono trascorre anche quasi dieci anni dalla vendita e in tale lasso di tempo il compratore potrebbe avere venduto l’opera originale e acquistato un falso.

Sono, quindi, condivisibili le criticità evidenziate dalla dottrina in rapporto alla ferma posizione della giurisprudenza di legittimità per i casi di aliud pro alio, atteso che tali fattispecie sostanzialmente possono essere ritenute ipotesi di inesatto adempimento[8].

Vi da dire che il venditore convenuto in giudizio, oltre alla produzione a sua difesa dell’eventuale documentazione attestante l’autenticità del bene, verosimilmente chiederà al Giudice di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, atteso che questo tipo di decisioni necessitano di un parere strettamente tecnico. Data la peculiarità della materia sarebbe opportuno che l’incarico venisse affidato a un collegio peritale, i cui consulenti siano scelti secondo i principi professionalizzanti e di indipendenza indicati da un corretto metodo standard di Due Diligence.

I principi di questa metodologia, come già ampiamente trattati, dovrebbero riflettersi anche nella formulazione del quesito e nella stesura della relazione, la quale dovrebbe presentare la massima logicità, la trasparenza e scientificità delle procedure seguite per ogni fase dell’indagine sino alla formulazione delle conclusioni peritali.

In caso di accertamento della falsità dell’opera, la risoluzione del contratto per inadempimento imporrà le restituzioni tra le parti: il compratore renderà il bene falso e il venditore rimborserà il prezzo incassato, oltre all’obbligo di risarcire il danno, inteso come l’interesse positivo, consistente nel valore dell’opera come se fosse stata autentica al momento della pronuncia, quindi, si potrebbe trattare di somme molto ingenti.

Esiste un rimedio protettivo per il venditore? La giurisprudenza ha stabilito che nel caso delle vendite di aliud pro alio, verrebbero meno i presupposti della risoluzione contrattuale – e quindi le restituzioni e il risarcimento del danno – qualora il venditore riuscisse a vincere la presunzione di colpevolezza, dimostrando di aver ignorato senza colpa la falsità dell’opera.

Alla luce di quest’ultima considerazione, si può sostenere che anche il venditore abbia un interesse all’esecuzione di un’accurata e documentata Due Diligence prima della conclusione della compravendita, poiché questa potrebbe risultare un efficace mezzo di difesa in un eventuale successivo processo.

Tale precauzione si rivelerebbe ancor più importante, se consideriamo che il termine di decorrenza della prescrizione decennale non è certo, essendoci diversi orientamenti, di cui si riportano i principali: il primo ritiene che il decennio inizi al momento della consegna del bene [9], mentre l’altro sostiene che detto termine decorre dal giorno della scoperta della falsità dell’opera, essendo questo il momento in cui il soggetto apprende di aver subito un danno ingiusto.

Non v’è chi non veda l’abnorme differenza tra le due posizioni e le implicazioni di incertezza qualora si optasse per la seconda soluzione, la quale rischierebbe di procrastinare all’infinito il decorso iniziale della prescrizione.

È, invece, preferibile dare rilievo alla conoscibilità dell’eventuale falsità del bene, considerato che il termine decennale è quello più lungo previsto dal nostro ordinamento: quindi, da un lato l’acquirente avrebbe un lasso di tempo sufficiente per verificare il bene acquistato ed eventualmente agire, così come il venditore potrebbe ancora reperire prove a sua difesa[9].

Conclusioni

Questo rapidissimo excursus sullo “stato dell’arte” in tema di transazioni commerciali e Due Diligence ha evidenziato l’interdipendenza delle diverse fasi illustrate e le attuali criticità del settore, le quali – a sommesso avviso di chi scrive – potrebbero essere se non risolte, quanto meno attenuate, dall’accoglimento di un nuovo orizzonte culturale teso alla multidisciplinarietà e alla condivisione dei metodi operativi e dei risultati ottenuti.

La regolamentazione dei trasferimenti è un tema molto sentito dagli artisti concettuali come Sol Le Witt e Buren, i quali propongono accurati modelli complessi di contratto in occasione della cessione per tracciarne la circolazione e assicurarne l’autenticità.  Altri artisti come Felix González-Torres hanno realizzato archivi d’artista e talvolta richiesto l’intervento di un notaio per certificare l’esistenza e le vicende circolatorie trascritte in appositi registri [10]

Il mercato richiede certezza e fiducia, per cui sarà opportuno sfruttare le potenzialità positive di ogni utilità a disposizione per garantire la sicurezza e tracciabilità dei dati e dei beni: il ricorso a certificazioni di autenticità registrate in Blockchain può servire a garantire l’immutabilità e la certezza della ricostruzione di tutti i trasferimenti del bene a cui il file registrato è legato, ma è evidente che non potrà mai garantire la veridicità del contenuto di quanto eventualmente dichiarato, ma questo vale anche nel caso di documenti analogici in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, poiché il pubblico ufficiale attesta la verità di ciò che è accaduto in sua presenza, ma non del contenuto delle dichiarazioni delle parti.

Oggi, le singole professionalità non possono più sottrarsi “contaminazione[11] con altre discipline, anche di natura completamente diversa: questo scambio si tradurrà sempre in un arricchimento e un’apertura di visione e mai potrà essere considerato un’indebita invasione di campo: l’ampiezza del concetto è ben rappresentata dai riflessi degli studi di filosofia estetica sulle nuove forme artistiche come la Crypto Arte e gli NFT, che possono sembrare distanti, ma in realtà quello che conta è sempre l’espressione artistica e la bellezza, le quali mai possano subire limitazioni  o costrizioni di alcuna natura.

Untitled, Installazione con caramelle, Félix González-Torres, Metropolitan Museum of Art

 

Per approfondire

[1] https://www.ildirittoperfetto.it/larte-la-liberta-e-il-coraggio

[2] «Principi della Conferenza di Washington applicabili alle opere d’arte confiscate dai nazisti» (Prinicipi di Washington) sono stati approvati il 3 dicembre 1998 in occasione della «Washington Conference on Holocaust-Era Assets»

[3] https://www.ildirittoperfetto.it/il-capolavoro-rubato-letica-e-la-giustizia-negata/

[4]In Giurisprudenza Italiana, 1961, I, c. 4 ss.

[5]La tutela degli acquirenti di opere d’arte contemporanea non autentiche tra codice civile, codice del consumo e codice di beni culturali” di G. De Cristofaro, in Rivista di Diritto Privato, 1/2020 pag. 29 e ss.

[6]La tutela del consumatore di un’opera d’arte falsa” di G. Afferni, in Arte e Diritto, Riv. Semestrale, Giuffrè, n. 2, 2022, pag. 282 e ss.

[7] SS. UU. Corte di Cassazione sentenza n. 11748/2019

[8] Cfr. Cassazione Civile, Sez. II, Sentenza 14/1/2022 n. 996

 [9] “Opera d’arte priva di autenticità: rimedi a disposizione dell’acquirente e disciplina della prescrizione” di L. Castelli, in Giurisprudenza, I Singoli Contratti, 4/2022, pag. 417 e ss.

[10] Cit. A. Donati in “Autenticità, Authenticité, Authenticity dell’opera d’arte. Diritto, mercato, prassi virtuose”, pag. 1010

[11]#Contaminati. Connessioni tra discipline, saperi e culture”  di G. XhaëT e P. Iabichino, ed. Hoepli, 2020

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L’assegno di divorzio dopo il 2017

Il 2017 è stato un anno rivoluzionario per la Giurisprudenza in tema di assegno divorzile: con la sentenza n. 11.504 del 10 maggio 2017 la Corte di Cassazione, con una decisione epocale, ha spazzato via un orientamento granitico e ultraventennale, secondo cui l’assegno di divorzio andava determinato sulla base del tenore di vita avuto dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio.

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