EBA: Evidence Based Art – Parte I

“Tutta la conoscenza prescientifica, sia essa animale o umana, è dogmatica; è con la scoperta del metodo non dogmatico, cioè del metodo critico, che comincia la scienza” Karl Popper.

L’approccio con un metodo scientifico porta a superare le conoscenze autoreferenziali a favore di risultati affidabili, poiché sostenuti percorsi di confutazione all’esito dei quali si producono prove e riscontri condivisi dalla comunità degli studiosi.

Nel 1972 l’epidemiologo inglese David L. Sackett ideò un metodo teso a garantire un approccio più rigoroso e scientifico alla pratica medica, la quale sino ad allora era il frutto dell’esperienza e competenza del singolo medico, quindi, dipendeva dal suo livello di aggiornamento e dall’affidabilità delle fonti utilizzate.

Con l’introduzione della Medicina basata sulle evidenze (EBM), la valutazione critica delle ricerche è cambiata radicalmente e lo studio delle singole patologie è divenuto randomizzato su un determinato target di pazienti per un periodo di almeno cinque anni, durante i quali si procede all’osservazione scientifica delle singole metodologie cliniche e degli effetti delle diverse opzioni di cura, così da poter determinarne statisticamente i risultati migliori.

Le prove scientifiche acquisite vengono tradotte in “Linee guida” che rappresentano l’attuale stato delle migliori evidenze scientifiche tradotte in pratica clinica, fornendo quindi l’indicazione del miglior trattamento possibile in un determinato ambito.

In esito a un lungo percorso giurisprudenziale, nel 2017 la Legge Gelli Bianco ha previsto che il medico debba attenersi alle linee guida scientificamente riconosciute o, in assenza di queste ultime, alle buone pratiche, salvo che il caso concreto non imponga al sanitario di discostarsene.

Quest’ultima precisazione della norma apre al tema dell’importanza, ancora da riconoscersi, della valutazione clinica da parte del curante nel caso specifico: se è vero che il sanitario è tenuto a seguire le indicazioni terapeutiche prescritte dalla comunità scientifica, è altrettanto vero ch’egli debba essere in grado di stabilire se  il caso specifico sottoposto alle sue cure imponga di  discostarsi da tali indicazioni, in ragione della  particolare situazione clinica del paziente; diversamente verrebbe ritenuto responsabile dell’eventuale danno procurato.

È, quindi, sostenibile l’affermazione secondo cui la pratica medica è l’unione di almeno due elementi: la valutazione clinica del medico curante e l’indicazione terapeutica risultante dalle evidenze.

Pur essendo l’una il presupposto essenziale dell’altra, la stretta valutazione clinica riveste ancora oggi un’importanza essenziale, poiché attraverso un attento esame dell’anamnesi del paziente, unitamente a una visita accurata, all’osservazione attenta dei sintomi lamentati e dei referti degli eventuali accertamenti, è possibile pervenire a una diagnosi a cui seguirà la terapia adeguata.

Il metodo scientifico descritto per la medicina può trovare applicazione anche in altri ambiti e discipline, compresa l’arte, apparentemente molto distanti, offrendo strumenti atti a garantire una maggiore attendibilità dei risultati, poiché tali esiti sono già stati sottoposti a ripetute confutazioni, confronti e condivisioni sulla base di un metodo standardizzato e condiviso.

Il mercato dell’arte e le sue peculiarità

Negli ultimi anni le opere d’arte hanno attratto in misura sempre crescente l’interesse degli investitori sia come strumento per addivenire a una diversificazione degli asset patrimoniali sia per finalità strettamente speculative dato l’ingresso nel mercato dei capitali di grandi fondi di investimento internazionale[1].

L’ampliamento di questo specifico mercato rispetto al target precedente, costituito in prevalenza da collezionisti e appassionati, nonostante gli ingenti valori scambiati, non ha prodotto una corrispondente maggiore regolamentazione delle transazioni sotto il profilo della trasparenza delle informative afferenti all’autenticità e provenienza dei beni compravenduti.

La mancanza di un metodo standardizzato, nonché di regole e prassi condivise dagli operatori incide severamente sulla fiducia nell’affidabilità del mercato stesso.

Inoltre, dovrà essere tenuto in considerazione come i nuovi investitori non sempre abbiano le specifiche conoscenze necessarie per valutare i molteplici aspetti che entrano in gioco nel momento in cui si compra o si vende un’opera d’arte.

Per queste ragioni l’esigenza di strumenti a sostegno del buon funzionamento del mercato dell’arte passa attraverso l’introduzione di norme e/o prassi dirette a ridurre i rischi controparte e le asimmetrie informative per arrivare a una standardizzazione delle transazioni.

 

Due Diligence artistica

La compravendita di un’opera d’arte dovrebbe essere preceduta da un’accurata Due Diligence, intesa come un’indagine complessa funzionale a valutare e accertare l’autenticità, la provenienza dell’opera e i rischi dell’acquisto.

Questo tipo d’indagine dovrebbe avvenire sulla base di un sistema condiviso, accettato e promosso tra gli operatori del settore, caratterizzato da linee guida redatte con metodo scientifico in esito al confronto, alla confutazione e alla condivisione delle diverse metodologie applicate, i cui risultati sarebbero ritenuti come i migliori per evidenza e affidabilità[1].

Sempre in merito alla metodologia operativa da cui il mondo dell’arte potrebbe trarre spunti e modelli riproponibili, si potrebbe considerare l’esempio di come  oggi in campo medico il processo di diagnosi e cura sia caratterizzato da percorsi definiti, prassi e protocolli consolidati, atti alla gestione del rischio clinico al fine di prevenire gli eventi avversi, forieri non soltanto di un numero esponenziale di contenziosi risarcitori, ma che incidono pesantemente nel costo e nel funzionamento delle strutture sanitarie e, quindi, con riflessi pensanti per l’intero sistema sanitario nazionale[2].

Per comprendere alcuni aspetti che possono risultare utili, si richiama la sezione dedicata dal sito del Ministero della Salute alla Checklist di sala operatoria: è interessante scoprire come essa sia stata introdotta seguendo il modello proposto dalle “Guidelines for Surgery” dell’OMS, secondo cui la Checklist  rappresenta “strumento guida per l’esecuzione dei controlli, a supporto delle équipe operatorie, con la finalità di favorire in modo sistematico l’aderenza all’implementazione degli standard di sicurezza raccomandati per prevenire la mortalità e le complicanze post-operatorie[3].

Analogicamente, anche nel mondo dell’arte si verificano eventi e situazioni che possiamo considerare “avversi”, come nei casi in cui sia stata venduta un’opera falsa e/o di provenienza illecita.

Per prevenire tali situazioni caratterizzate da conseguenze importanti sotto diversi profili, sarebbe auspicabile l’introduzione e l’adozione di una Due Diligence standardizzata[4] anche nel mercato dell’arte, basata su una Checklist che imponga l’analisi dei molteplici aspetti che di seguito andremo ad analizzare.

Le sezioni dell’Art Checklist

L’EBA prevede due fasi prodromiche e imprescindibili per un acquirente attento e prudente a cui seguono gli strumenti tipici per l’accertamento dell’autenticità come la conneseurship, le verifiche sulla provenienza dell’opera e i test scientifici.

La prima è una fase puramente oggettiva d’identificazione e visione dal vivo dell’opera, la quale è funzionale a una prima verifica e individuazione dei dati specifici dell’oggetto risultanti dall’esame visivo dello stesso.

Più delicata è la fase avente afferente al titolo di proprietà dell’opera, in quanto strettamente legata alla successiva ricostruzione della provenienza del bene.

In particolare, il potenziale acquirente dovrà accertare l’identità del venditore, con specifiche indagini nel caso in cui si tratti di una persona giuridica o di un procuratore del venditore: in siffatte ipotesi, particolare attenzione dovrà essere rivolta ai poteri conferiti con la procura.

Sarà, altresì, necessario verificare il titolo di acquisto del dante causa, atto inter vivos o mortis causa ed eventualmente visionare i documenti in originale, con richiesta di rilascio di copie per gli approfondimenti e le verifiche del caso.

A causa di un superficiale accertamento della reale titolarità del bene la Österreichische Galerie Belvedere di Vienna, dopo un lungo e tortuoso contenzioso giudiziario snodatosi tra l’Austria e gli Stati Uniti, è stata costretta a restituire a Maria Altman, nipote del legittimo proprietario, il dipinto di Adele Bloch Bauer ritratta da Gustave Klimt.

Adele Bloch-Bauer, Gustave Klimt, 1907

Vi è da evidenziare come tutta il contenzioso sia stato gestito dal legale di Maria Altam nel tentativo di ridurre il conflitto con il raggiungimento di un accordo conciliativo tra le parti; nonostante le aperture negoziali dell’erede la Galleria Belvedere rimase sempre ostinatamente ferma è ostile a qualsiasi forma di trattativa diretta a risolvere amichevolmente la questione restitutoria del bene così ignobilmente sottratto dai nazisti in casa della famiglia Bloch-Bauer.

La Galleria Belvere sostenne strenuamente di essere la legittima proprietaria del dipinto asserendo che le fosse pervenuto in forza del testamento della stessa Adele Bloch-Baur.

Le così in realtà erano ben diverse: Maria Altman riuscì a dimostrare che dagli atti in possesso della stessa Galleria Belvedere risultava che il vero proprietario del quadro non era Adele, bensì il marito Ferdinand Bloch-Bauer, il quale commissionò il dipinto e pagò all’artista il ritratto della moglie.

Il testamento di Adele Bloch-Bauer si rivelò, quindi, privo di valore, in quanto ella non aveva il potere di disporre di quel bene appartenente a diverso proprietario e l’unica vera erede del capolavoro era Maria Altman, l’unica nipote in vita di Ferdinand Bloch-Baur.

Soltanto dopo che Maria Altam uscì vittoriosa dall’arbitrato tenutosi a Vienna, la Galleria Belvedere propose di addivenire a un accordo affinché il dipinto rimasse in terra austriaca, ma questa volta fu Maria Altman a essere irremovibile, vista la fredda ostilità mostrata per anni nei suoi confronti e portò con sé negli Stati Uniti, non solo il ritratto di Adele ma anche altre cinque opere illegittimamente detenute dalla stessa Galleria.

Il ritratto di Adele Bloch-Baur è oggi esposto presso la Neue Galerie Lauder di New York.

Il caso del ritratto di Adele Bloch-Baur pone in luce l’importanza di un’attenta valutazione del titolo di proprietà del dante causa, atteso che molteplici possono essere le circostanze che rischiano di compromettere la regolarità di un acquisto, si pensi a un bene facente parte di una comunione legale tra i coniugi, oppure di una comunione ereditaria o ancora se fosse  oggetto di un contenziosi giudiziari.

La delicatezza del tema porta a una riflessione sul principio “possesso vale titolo” regolato dall’art. 1153 C.c. italiano – ma norme analoghe sono presenti in altri paesi di civil law –  in forza del quale colui a cui sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. La buona fede è di natura soggettiva, intesa come l’ignoranza di ledere l’altrui diritto ed è presunta ex lege, il che non significa che tale presunzione non possa essere vinta dimostrando che l’acquirente fosse a conoscenza dell’irregolare provenienza del bene.

Inoltre, particolare attenzione dovrà essere rivolta alle eventuali limitazioni previste dalle leggi nazionali a protezione dei Tesori Nazionali e Beni Culturali: nel caso dell’Italia il T. U. 42/2004 disciplina i beni dichiarati patrimonio culturale, vietando l’uscita definitiva dal Paese delle opere “notificate”, salvo casi particolari, mentre le uscite temporanee possono essere autorizzate secondo rigide disposizioni e tempistiche e prevendendo, altresì, il diritto di prelazione da parte dello Stato in caso di vendita all’interno del territorio nazionale.

(…segue parte II)

 

 

Per approfondire

Tutti i diritti riservati

[1] Sul punto si richiama il metodo “The Hecker Standard®”: “si tratta di un approccio innovativo basato su prove per condurre una ricerca sistematica, con l’obiettivo di fornire informazioni sulle opere d’arte” in “Le Opere d’arte e le Collezioni” di G. Calabi, S. Hecker, R. Sarro e A. Busani, ed. Wolter Kluwer, 2020, pag. 3

[2]Prevenire gli eventi avversi nella pratica clinica” a cura di R. Tartaglie e A. Vannucci, ed. Springer 2016 e “Una professione pericolosa” di R. Benzoni, ed. Quality Improvement Italia, 2016

[3] https://www.salute.gov.it/portale/sicurezzaCure/dettaglioContenutiSicurezzaCure.jsp?lingua=italiano&id=2607&area=qualita&menu=sicurezzachirurgia

[4] Cfr. Metodo The Hecker Standard®

[1]L’accertamento dell’autentica dell’opera d’arte” di Andrea Postiglione, in Rivista Arte e Diritto, N. 2, Giuffrè 2022

Bibliografia e sitografia

  • “L’accertamento dell’autenticità di un’opera d’arte tra diritto e processo: norme, sentenze, prospettive” di Andrea Postiglione, in Arte e Diritto, Rivista Semestrale, Giuffrè, 2022, n. 2, pagg. 293 e ss.
  • “Le opere d’arte e le collezioni” di G. Calabi. S. Hecker, R. Sarro, A. Busani, Wolter e Kluwer, Cedam, 2020
  • “Prevenire gli eventi avversi nella pratica clinica” a cura di R. Tartaglie e A. Vannucci, ed. Springer 2016
  • “Una professione pericolosa” di R. Benzoni, ed. Quality Improvement Italia, 2016
  • “Autenticità, Authenticité, Authenticity dell’opera d’arte. Diritto, mercato e prassi virtuose” di Alessandra Donati, in Rivista diritto civile 2015
  • “Arte e diritto fra autenticazione e accertamento” di Giampaolo Frezza, Ed. Scientifiche Italiane, 2019
  • “Attribuzioni contestate di opere d’arte e liniti alla tutela giurisdizionale” di Andrea Barenghi, in Giurisprudenza italiana n. 1, 1 gennaio 2022, pag. 57,
  • Autentiche, perizie, archiviazioni di opere materiali delle arti figurative: verità e responsabilità tra diritto e arte” di F. Bosetti, in Danno e Responsabilità n. 2, 1° marzo 2021, pag. 148
  • “Arte contemporanea” Enciclopedia Treccani, voce Conneseurship, vol. 1, pag. 611 e ss.
  • “La tutela degli acquirenti di opere d’arte contemporanea non autentiche tra Codice civile, codice del consumo e codice dei beni culturali” di Giovanni De Cristofaro, in Rivista di diritto privato, 1/2020, pag. 29 e ss.
  • “La tutela di un compratore di un’opera falsa” di Giorgio Afferni, in Arte e Diritto, Rivista Semestrale, Giuffrè, 2022, n. 2, pagg. 279 e ss.
  • “Conversazioni in arte e diritto” di Laura Castelli e Silvia Giudici, Giappichielli, 2021
  • “Opera d’arte priva di autenticità: rimedi a disposizione dell’acquirente e disciplina della prescrizione” di L. Castelli, in Giurisprudenza, I Singoli Contratti, 4/2022, pag. 417 e ss.
  • “Autenticità dell’opera d’arte e archiviazione: nessun potere si coazione sull’ente certificatore” di Pietro Virgadamo in Giurisprudenza italiana, n. 3, 1 marzo 2022, pag. 611

www.treccani.it

https://www.we-wealth.com/enterprise/cbm-partners/news/il-monopolio-delle-fondazioni-e-la-liberta-di-espressione-un-nuovo-caso-francese

https://www.salute.gov.it/portale/sicurezzaCure/dettaglioContenutiSicurezzaCure.jsp?lingua=italiano&id=2607&area=qualita&menu=sicurezzachirurgia

https://www.ildirittoperfetto.it/larte-la-liberta-e-il-coraggio/

https://www.ildirittoperfetto.it/il-capolavoro-rubato-letica-e-la-giustizia-negata/

L’assegno di divorzio dopo il 2017

Il 2017 è stato un anno rivoluzionario per la Giurisprudenza in tema di assegno divorzile: con la sentenza n. 11.504 del 10 maggio 2017 la Corte di Cassazione, con una decisione epocale, ha spazzato via un orientamento granitico e ultraventennale, secondo cui l’assegno di divorzio andava determinato sulla base del tenore di vita avuto dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio.

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